Diritti umani


La rivoluzione mondiale dei diritti umani. - Di fronte all’immane tragedia del secondo conflitto mondiale, durante il quale furono perpetrati i più gravi e devastanti crimini contro l’umanità con la cosiddetta guerra totale, quel testo compì la rivoluzione di scardinare nelle sue fondamenta l’impianto statocentrico, fondato sulla sovranità degli stati, e di porre al centro del nuovo ordine internazionale gli uomini - tutti gli uomini indistintamente - nella loro integrale, complessa e viva molteplicità di attitudini, versatilità, istanze, bisogni, aspirazioni e identità.

 

La loro ideazione, anche se può apparire come il semplice risultato dell’elaborazione teorica di un gruppo ristretto di studiosi e di specialisti della materia giuridica internazionale, in realtà fu l’esito finale di un percorso plurisecolare fatto di riflessioni, ricerche e teorizzazioni, che ha tematizzato l’uomo, il suo valore e la sua identità. Chi scrisse la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani nel 1948 si possono ritenere gli artefici materiali, che seppero dare forma e sostanza e compendiare nella sintesi di trenta articoli la più elevata e nobile cultura dell’uomo e dei popoli di tutta la terra.

Quel documento segnò la rottura radicale con il paradigma del potere della forza, elevato a diritto, da sempre operante negli accordi internazionali soprattutto attraverso il principio di equilibrio tra gli stati, e diede avvio al processo di giuridicizzazione del valore supremo, in-condizionato, di tutti gli uomini del mondo, facendo valere, a livello internazionale, il paradigma della forza del diritto.

Da quel momento i diritti umani non sono più praticati e assicurati solamente all’interno degli stati, ma iniziano ad essere riconosciuti e garantiti universalmente, dando origine, attraverso la loro codificazione giuridica, al nuovo diritto internazionale dei diritti umani: diventano ius positum internazionale. Si passa, come osserva A. Papisca, “dall’era delle sovranità statuali-nazionali-armate-confinarie a quella della ‘costituzionalizzazione’ dello spazio planetario, dal sistema westfaliano delle sovranità statuali, ciascuna superiorem non recognoscens, alla democratizzazione delle relazioni internazionali in ossequio al valore supremo della dignità della persona umana”.  

Le discussioni, le divisioni di pensiero, le divergenze di vedute e di concezioni, che da sempre animano il dibattito, la ricerca e gli approfondimenti sui diritti umani, non sono il segno della debolezza o della sostanziale inconsistenza di questi diritti universali, ma esprimono la fisiologia del sapere teoretico e pratico della cultura e della dottrina delle libertà fondamentali degli uomini e dei popoli del pianeta. Il laboratorio di idee e di teorizzazioni sui diritti umani, quindi, è esso stesso pratica attiva dei diritti umani.

Solo i diritti umani, nell’attuale fase storica, possono garantirci dalle insidie e dai rischi di derive disumanizzanti, razionali o irrazionali, e costituiscono l’unica via che può promuovere l’uomo nella sua integralità e nella radicalità della sua essenza: siamo effettivamente entrati nell’età dei diritti, come ha felicemente titolato la sua raccolta di saggi sull’argomento N.Bobbio. 

 

 

IL VALORE ASSOLUTO DELLA PERSONA UMANA

 

La dottrina dei Diritti Umani si fonda su un principio ab-solutus, ossia sciolto, slegato da tutto, ma a cui tutto fa capo e da cui tutto dipende: la sacralità dell’uomo, giuridicamente codificata nel principio della dignità.

L’uomo è valore assoluto - il supremo valore - solo per il fatto di essere uomo; egli è, quindi, principio originario, incondizionato e autosussistente e la sua assolutezza è istituita dall’uomo stesso.

Gli uomini fondano e fissano il principio-valore della persona e di tutti i conseguenti diritti umani mediante un atto radicalmente e integralmente umano, ossia libero, che consiste nel credere che ogni uomo è il supremo valore. La Cartadelle Nazioni Unite, infatti, afferma nel Preambolo  “la fede nei diritti fondamentali umani, nella dignità e nel valore della persona umana.

E’ un atto di fede, quindi, e si estrinseca nel riconoscimento reciproco ed erga omnes.

Il riconoscimento del valore della dignità-perosna e dei diritti umani è un atto eminentemente umano polivalente: cognitivo, etico, culturale, politico, giuridico, esistenziale. Esso coinvolge e mobilita la persona nella sua integralità; non si configura, pertanto, come un atto meramente cognitivo o circoscritto alla sfera giuridica: nel riconoscimento la dignità di ogni uomo è agita e opera attraverso l’esercizio consapevole, libero e responsabile dei diritti umani.

Risulta evidente come i diritti-valori non derivino per inferenza da qualche teoria filosofica, né siano assunti da alcuna religione o accettati, se non imposti, da qualche necessità naturale.

Compete alla libertà incondizionata di ogni singolo uomo dare un senso, un fondamento, una ratio ultima, teorica e/o materiale, ai diritti fondamentali della persona e dei popoli, che sono universalmente e giuridicamente riconosciuti. L’atto di fondazione dei diritti umani è esso stesso esercizio dei diritti umani.

J.Maritain distingue il perché dei diritti umani dal perché su cui quel perché a sua volta si fonda. Egli, quindi, distingue il perché dei diritti umani dal perché del perché di essi e argomenta che è possibile convenire e giungere a condividere un’idea o un principio comune sui diritti fondamentali dell’uomo (il perché), pur partendo da presupposti ideologici, filosofici o religiosi diversi (il perché del perché). La dottrina dei diritti umani si propone quale punto d’incontro, prettamente umano, a cui ogni uomo giunge individualmente e/o comunitariamente, attraverso percorsi originali e radicati su teorie o credenze talvolta molto lontane tra di loro se non addirittura configgenti o antitetiche.

 

IL PRINCIPIO DELLA DIGNITA’

 

Il concetto della dignità della persona costituisce, come afferma A. Cassese, “l’essenza, il cuore della dottrina dei diritti umani”. La Dichiarazionedi Vienna del 1993 afferma nel preambolo che “tutti i diritti umani derivano dalla dignità e dal valore inerente della persona umana“ e “la persona umana è il soggetto centrale dei diritti umani e delle libertà fondamentali “.

Dalla dignità derivano, quindi, e in essa trovano la loro giustificazione tutti i diritti-valori della persona, sia essa intesa nella sua dimensione individuale sia concepita nella sua inscindibile dimensione sociale, nonché nei suoi rapporti vitali con l’ambiente e l’universo intero.

La dignità umana è la ratio essendi - la ragion d’essere - dei diritti umani, ne è il fondamento ontologico, mentre i diritti umani sono gli “attori” della dignità, poiché la pongono in atto, la concretano attraverso il loro esercizio consapevole, libero e responsabile, rivelandone così plasticamente la sua identità con la loro testimonianza. La dignità umana rimane tuttavia imperscrutabile nella sua essenza, è irraggiungibile e assolutamente inafferrabile nella sua specifica identità, poiché non è oggettivabile: non può diventare oggetto di conoscenza, essere incapsulata in un concetto o delimitata da una definizione, poiché l’uomo è soggetto e non oggetto. Solo se la dignità viene preservata in tale status di indefinibilità universale, ma non di indeterminatezza, l’uomo può esercitare a pieno titolo la sua soggettualità – la sua in-dipendenza – ed essere realmente libero e responsabile verso di sé e verso le altre persone.

Anche nella interpretazione di A. Papisca i diritti umani sono intesi come “funzionali” alla persona.Egli scrive che sono “bisogni essenziali della persona, che devono essere soddisfatti perché possa realizzarsi dignitosamente nella integralità delle sue componenti materiali e spirituali“.Sono, quindi, concepiti come bisogni dell’uomo, che domandano di essere innegabilmente e pienamente soddisfatti, poiché sono costitutivi dell’essere umano, ne ineriscono strutturalmente l’essenza e ne sostanziano la dignità, e il loro soddisfacimento consente alla persona la sua effettiva concretezza e reale identità.

Ne consegue che ogni diritto umano è sempre, ad esempio, diritto alla vita, alla proprietà, allo sviluppo, ma non può mai diventare diritto della vita, della proprietà o dello sviluppo, poiché sono diritti umani in relazione alla persona umana, che ontologicamente, non cronologicamente, li precede e li pone: ella ne è la scaturigine trascendente. Poiché tutti i diritti dipendono dalla persona-dignità, conseguentemente essa non può mai subordinarsi ad alcuno di essi; non può mai, quindi, essere assunta in un rapporto strumentale o funzionale alla loro realizzazione.

L’uomo, come ben sappiamo, si trova nella reale possibilità di rendere strumento d’uso la propria dignità, se non addirittura di sopprimerla e servirsi di tutte le sue prerogative in funzione di una propria facoltà o di un suo diritto umano. L’uomo, come già aveva osservato nella fase più alta del Rinascimento italiano Giovanni Pico della Mirandola, può plasmarsi come meglio crede o decide di essere, può diventare pura intelligenza o puro istinto, ma in entrambi i casi egli rinuncerà alla sua natura di uomo: diventerà massa cerebrale o cieca volontà di potenza. Il valore assoluto della sua essenza, che consiste nella trascendenza della sua dignità, si dissolverà e perderà la sua condizione di libertà. In tal modo egli diventerà prigioniero di una sua facoltà, che può essere, ad esempio, l’intelligenza e lasciarsi via via dominare completamente dalla scienza o dalla tecnologia, fino ad arrivare alla totale inconsapevolezza di sé, giungendo, cioè, all’oblio della dell’integralità e ricchezza infinita della propria persona.

Goya scrisse, in un suo noto dipinto, che il sonno della ragione genera mostri, ma il dominio assoluto della razionalità annienta l’uomo: la persona vige in un regime di totale in-dipendenza ed è sovrana, quindi, anche nei confronti della sua attitudine o peculiarità più elevata.  

 

 

I CARATTERI COMUNI DEI DIRITTI UMANI

 

Tutti i diritti umani, per il fatto di derivare dalla medesima radice della dignità, detengono alcuni caratteri comuni che concorrono a identificarli, distinguerli e a renderli profondamente differenti rispetto a tutti gli altri diritti o libertà.

Essi sono:

INNATI

I diritti umani sono dichiarati innati in quanto ineriscono costitutivamente l’essenza dell’uomo. Nascono, pertanto, ad un parto con l’uomo e sono quindi a lui congeniti: posto l’uomo, eo ipso, sono dati i diritti umani che sostanziano ed esplicitano la soggettualità (la dignità) di ogni persona umana, sia in quanto singolo individuo, sia nella sua natura strutturalmente relazionale di membro della famiglia umana.

Il fatto che sono innati e originano dall’uomo in quanto tale postula che non sono in alcun modo concessi da nessuna autorità statale, né derivano da alcuna istituzione politico-giuridica o da qualche potere di altra natura. 

UNIVERSALI

I diritti umani, poiché sono innati, ne consegue che appartengono ad ogni essere umano per il solo fatto di essere uomo. Pertanto gli competono indipendentemente dalla etnia, il popolo, la nazione o altro gruppo di appartenenza, ma anche gli appartengono indipendentemente dalla condizione socio-economica, dal genere e da qualsiasi altra peculiarità che connota ogni singola persona.

Tutti i diritti sono riconosciuti a tutti, perché tutti gli uomini sono uguali, e le differenze specifiche di ogni persona, che si radicano sulle sue ascendenze storico-culturali ed anagrafiche, ne esprimono ed esaltano la sua unicità. 

INVIOLABILI E INALIENABILI

Nessuna persona può essere privata dei diritti umani, né il loro esercizio può essere limitato od essere sottoposto a condizionamenti, poiché in tutti i casi si verrebbe a compromettere o a negare nella sostanza la sua identità reale: la sua dignità risulterebbe inagita o rimarrebbe parzialmente inespressa oppure verrebbe stravolta. Tutti i diritti umani sono le concrezioni plastiche, vive della dignità - la sostanziano concretamente - e concorrono, quindi, in sinergia a soddisfare i bisogni vitali, perché costitutivi, della persona.

Ne consegue che la privazione di un diritto umano e/o la limitazione del suo esercizio non costituiscono una semplice lesione, ma si configurano come una vera e propria negazione della persona, poiché inerendo costitutivamente ad essa ed esprimendosi come suoi bisogni, non possono non essere soddisfatti.

INTERDIPENDENTI E INDIVISIBILI

I diritti umani sono molteplici e nettamente distinti tra di loro ma non si possono dividere, poiché sono strutturalmente uniti: ognuno di essi, attraverso il suo pieno esercizio, esprime e conferisce realtà alla variegata e dinamica identità (dignità) di ogni persona.  

La loro reciproca dipendenza esclude qualsiasi gerarchia tra le differenti “categorie” dei diritti umani: i diritti civili, politici, sociali, economici, culturali e planetari sono tutti egualmente necessari e indispensabili per la concreta promozione e la libera realizzazione della persona sia in quanto singolo uomo, sia in quanto soggetto sociale. Ciascun diritto vi concorre interagendo con tutti gli altri. Il diritto alla vita, ad esempio, che è un diritto civile, non può essere rispettato se nel contempo non si garantisce il diritto al cibo e al lavoro, che sono diritti economici. 

 

LE DIFFERENTI GENERAZIONI DEI DIRITTI UMANI

 

K. Vasak ha distinto i diritti umani in tre generazioni, a cui negli ultimi anni è stata aggiunta una quarta generazione, che concernono i recenti sviluppi della ricerca scientifica in campo genetico e le innovazioni tecnologiche nell’informazione.

La divisione segue la scansione storica del loro riconoscimento e, nello stesso tempo, esprime i rilevanti mutamenti di prospettiva e le differenti tipologie e livelli di rapporto, che vanno a connotare e ad intrecciare le quattro generazioni.

Nei diritti politici e civili, o di prima generazione, ogni uomo é riconosciuto in quanto individualità unica e irriducibile, soggetto di libertà, uguale agli altri. Nei diritti sociali, economici e culturali, o di seconda generazione, l’uomo si scopre nei suoi rapporti con l’altro, prende coscienza della sua strutturale dimensione sociale o comunitaria e riconosce le responsabilità che essa comporta. Nei diritti di terza generazione, definiti anche diritti di solidarietà, l’uomo esce dall’alveo della individualità e/o della comunità di appartenenza ed assume la prospettiva planetaria, che si estende a tutto il genere umano - passato, presente e futuro - e ai luoghi dove abita. Egli, in forza di questa nuova visione, riconosce e sviluppa le interdipendenze identitarie con gli altri uomini, strutturate secondo il paradigma della complessità. In ogni fase possiamo rilevare come i valori fondamentali riconosciuti nella prima categoria siano sempre ripresi, reinterpretati e ricodificati in base alla mutata angolatura, che passa dal singolo individuo, al gruppo sociale di appartenenza più o meno esteso ed articolato, per giungere alla prospettiva dell’intera umanità interagente con l’ambiente. I diritti di quarta generazione, infine, vertono sulle ricerche, gli studi e i possibili interventi e/o manipolazioni medico-scientifiche relativamente alla salute, ai fenomeni biologici e al patrimonio genetico dell’uomo, nonché alle nuove possibilità offerte dai recenti sviluppi della tecnologia specialmente nel settore dell’informazione e dei mezzi di comunicazione di massa.  

La ricerca scientifica contemporanea dei diritti umani deve oggi cimentarsi con il post-umano, ossia con quella antropologia che si forgia e si configura in relazione sempre più diretta ed interattiva - simbiotica -  con gli interventi e i prodotti della tecno-scienza.

Si richiede, pertanto, una diretta e frequente della scienza giuridica con un numero elevato ed assai eterogeneo di discipline per giungere ad individuare e correttamente codificare i nuovi diritti. 

I DIRITTI CIVILI E POLITICI O DELLA LIBERTA’

I diritti di prima generazione sono i diritti delle libertà: è l’uomo nel suo stato aurorale che si percepisce come singolo individuo e si scopre quale valore assoluto.

I diritti di prima generazione sono anche definiti libertà, poiché consistono fondamentalmente nella possibilità di esercitare prerogative ed attitudini, che sostanziano e conferiscono identità concreta e reale all’individualità di ogni singola persona. L’uomo non è una mera entità astratta, ma un soggetto reale e vivo. Le libertà, pertanto, si possono definire, dal punto di vista ontologico, come le concrezioni plastiche ed in fieri delle singole individualità: sono espressioni dinamiche che sostanziano e pongono in atto le differenti specificità di ogni singola persona e domandano che siano soddisfatte. Giuridicamente questi diritti si possono distinguere in libertà “negative“, che comportano l’essere immuni o esenti da qualcosa, e in libertà “positive“, che invece prevedono e garantiscono la possibilità di fare qualcosa. Le prime mirano a limitare il potere o a impedire (negare) possibili interventi dello stato, come ad esempio l’arresto arbitrario, la discriminazione, la schiavitù o la tortura; le seconde assicurano la possibilità di esercitare alcuni diritti quali, ad esempio, la libertà di pensiero, di parola, associazione, religione, riunione, stampa, movimento. I diritti negativi rivendicano uno spazio di libertà dallo stato, precisa N. Bobbio, i diritti positivi, invece, propugnano un’idea positiva di libertà intesa come autonomia o libertà nello stato. Questi ultimi assumeranno sempre più caratteri e valenze di natura politica, rivendicando spazi e ruoli di partecipazione al potere, e si intrecceranno organicamente con i primi. I diritti capitali di ogni uomo in quanto individuo, da cui tutti gli altri discendono o a cui fanno capo, sono il diritto alla vita, allalibertà e alla proprietà. Occorre precisare che tali diritti vanno intesi secondo una semantica pregnantemente umana. Il diritto alla vita, ad esempio non è da intendersi nei termini riduttivamente naturalistici o biologici ed implichi, quindi come costitutivo di essa anche la qualità della vita; così come il diritto alla proprietà non si circoscrive all’ambito strettamente economico, ma detenga allo stesso tempo come peculiari anche valenze di natura etica o identitaria.

I DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI O DELLA RESPONSABILITA’

I diritti di seconda generazione o della responsabilità sono i diritti dell’uomo nella sua “giovinezza” storica: egli scopre di non essere un atomo di egoismo, soggetto autocentrato, bensì di essere costitutivamente relazione. Scopre che la sua libertà non finisce dove inizia quella dell’altro, ma inizia dove comincia quella dell’altro.

Si esperisce che non ci sono confini impermeabili, né perimetrazioni reali, ma che vige fra gli uomini un intreccio di relazioni senza soluzione di continuità e che la libertà del singolo è possibile e si realizza compiutamente nel rapporto diretto e dialettico, non “meccanicamente”organicistico, con l’altro. La dimensione sociale della libertà evidenzia, quindi, che gli uomini sono sì interdipendenti, ma conservano la loro autonomia in quanto soggetti assoluti, e contribuisce alla formulazione del nuovo concetto di uomo inteso come persona e non più come individuo. La Dichiarazione del 1948 afferma, nell’articolo 29, che il libero e pieno sviluppo della personalità di ogni uomo è conseguibile solo nella comunità: “ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero pieno e sviluppo della sua personalità”. Il libero e pieno sviluppo della personalità postula la rivendicazione di condizioni economiche, sociali e culturali che ne garantiscano la realizzazione. Storicamente interviene lo Stato sociale, che si fa carico dei nuovi diritti e opera attivamente a sostegno di forme di uguaglianza sostanziale per assicurare, ad esempio, il diritto al lavoro, alla sicurezza sociale, alle cure mediche, a condizioni di vita dignitose e all’istruzione. Con i diritti di seconda generazione, quindi, ogni uomo diviene a pieno titolo persona e si realizza concretamente e responsabilmente attraverso lo Stato.   

 

I DIRITTI PLANETARI O DELLA FAMIGLIA UMANA

I diritti di terza generazione sono i diritti dell’uomo che ha raggiunto la piena maturità: hanno una estensione cosmica, trascendono i confini delle differenti comunità di appartenenza e si allargano – comprendono – l’intera umanità, sia quella presente, sia quella di ieri, sia quella che verrà. Lo sguardo si fa poliscopico, ossia vigile ed attento a tutto, ed inclina ogni persona a mutare radicalmente il proprio rapporto con l’ambiente antropico e con la natura, inducendola ad avvertirli non più come meri spazi o luoghi di fruizione né da assumere solamente come risorse da sfruttare, ma induce a rapportarsi all’ambiente come dimora della vita.

Il sentire dei diritti di terza generazione è realmente universale e in esso vibrano, ad un tempo, in felice sintesi, sentimenti, sensazioni, convinzioni, pensieri che sono soggettivi e identitari di ogni persona e/o popolo e comuni a tutti gli uomini.

Dopo avere esperito il versante sociale o comunitario dell’uomo, ora si giunge, anche in forza dei molteplici eventi di accelerazione dei processi di globalizzazione economica e di mondializzazione, a scoprire e tematizzare universalità, interdipendenze e interrelazioni finora non colte oppure recepite e vissute con spirito e secondo prospettive profondamente diverse e differenti. I diritti di terza generazione chiedono la revisione della stessa nozione di diritto, in particolare del diritto internazionale fondato sulla sovranità degli stati, e hanno come soggetto attivo non più gli individui intesi nella loro singolarità o in relazione alla comunità o gruppo di appartenenza, ma i popoli in relazione sia all’intera umanità sia nei rapporti con i singoli uomini sia, ancora, nei rapporti con l’ambiente. Cambiano anche i soggetti che si impegnano per difendere o promuovere tali diritti. Per le libertà fondamentali di prima generazione i principali sostenitori furono spiccate personalità individuali, si pensi ad esempio ai giusnaturalismi, ed erano espressione della élite culturale del loro tempo. Per i diritti di seconda generazione divennero protagoniste le organizzazione di massa fortemente politicizzate, come ad esempio le associazioni sindacali o i partiti di classe. Ora i maggiori propugnatori dei nuovi diritti sono piccoli gruppi, associazioni, ONG, reti, movimenti, che chiedono e rivendicano un rapporto nuovo con la politica e propongono o praticano forme di democrazia partecipativa. Il loro campo di intervento tende ad allargarsi all’intero pianeta, non rispondono a vincolanti ideologie di riferimento, anche se molti sono ad ispirazione religiosa o coltivano particolari orientamenti etici e culturali, e risultano trasversali nelle appartenenze sociali. Queste associazioni si distinguono nettamente dai giusnaturalisti, perché sono soprattutto uomini d’azione e non di pensiero, e si differenziano dalle macro organizzazioni di massa, perché la loro attività per i diritti umani li impegna a tempo pieno e non li occupa solo in determinate situazioni oppure per portare avanti il riconoscimento o la difesa di qualche diritto, anche se il loro impegno si può concentrarsi su un settore specifico.

Questi diritti sono il diritto alla pace, allo sviluppo e all’ambiente.

 

LA CITTADINANZA UNIVERSALE

 

I processi storico-culturali e materiali di progressiva elaborazione teorica dei diritti umani e la successiva positivizzazione giuridica possono, di primo acchito, dare l’idea di un elenco sempre più lungo, privo di una sua unitarietà giuridica, che li coniughi e li articoli organicamente assieme.

In realtà si tratta di un processo che sviluppa e propugna il nuovo statuto della cittadinanza universale, fondato sulla strutturale relazione tra democrazia, pace e diritti umani:

“Diritti dell’uomo, democrazia e pace sono tre momenti necessari dello stesso movimento storico: senza diritti dell’uomo riconosciuti o protetti non c’è democrazia; senza democrazia non ci sono le condizioni minime per la soluzione pacifica dei conflitti. Con altre parole, la democrazia è la società dei cittadini, e i sudditi diventano cittadini quando vengono loro riconosciuti alcuni diritti fondamentali; ci sarà pace stabile, una pace che non ha la guerra come alternativa, solo quando vi saranno cittadini non più di questo o quello stato, ma del mondo” (N. Bobbio).

La dottrina internazionale dei Diritti Umani statuisce la cittadinanza originaria di ogni uomo, che antecede quella derivata degli stati, e garantisce la soggettualità di ogni persona - l’esercizio attivo di tutti i diritti per tutti - che si fonda, occorre ribadire, sul principio giuridico della dignità, fonte di tutti i diritti umani.

Sulla cittadinanza universale, di cui ogni uomo del pianeta è titolare, si incardinano e si sviluppano, interagendo in un regime di pace incondizionata, le differenti cittadinanze, che fanno leva e si configurano in relazione alle diverse ascendenze storico-culturali di ogni singola persona e di ogni popolo.

Le differenti articolazioni che formano la cittadinanza universale vigono in una relazione dinamica e complessa di interdipendenza ad estensione mondiale. Sono, pertanto, tra di loro interattive e non vi è alcun rapporto gerarchico.

 

 

 

Prof. Romeo Ferrari

Pubblicato il 14-10-2015